martedì 4 ottobre 2016

L'importanza di chiamarsi Oculus

L'altro giorno a Pisa si è svolta l'attesissima "Notte dei ricercatori", occasione durante la quale la città è costellata di eventi atti ad avvicinare le persone al mondo della ricerca scientifica. In pratica, ovunque vi erano stand e attività dove osservare o anche provare in prima persona questo o quel progetto istruiti dalle menti dietro la sua realizzazione.

Un'iniziativa che aveva immediatamente destato la mia attenzione leggendo il programma un paio di settimane fa era la possibilità di provare il tanto citato Oculus Rift, il visore per la realtà virtuale sviluppato da Oculus VR e poi acquistato da Facebook nel 2014. Dopo le solite attese dovute al fatto che "non ci aspettavamo veniste in così tanti" (una quarantina di persone in una città piena zeppa di studenti), finalmente veniamo fatti accomodare nell'angusta anticamera del laboratorio per ascoltare l'introduzione al progetto.

Qui l'esperienza ha iniziato a prendere una piega strana.
I due giovani e simpatici ricercatori ci hanno esposto con esempi e filmati cosa sia la chimica, accennando brevemente ai traguardi che si pone e alle difficoltà dei suoi metodi. Un discorso sicuramente interessante, anche se in una forma non proprio propedeutica né per chi l'argomento lo conosceva già, né per chi ne era totalmente all'oscuro (va benissimo, non possiamo essere tutti Piero Angela).

Ad ogni modo, finalmente veniamo guidati nell'ambiente che ospita il sopracitato dispositivo per la realtà virtuale, che però capiamo subito non essere il tanto bramato visore. Si trattava di qualcosa di altrettanto interessante, ovvero un piccolo ambiente delle dimensioni di una stanza formata da quattro schermi (un pavimento e tre pareti laterali). Le immagini proiettate sugli schermi erano in forma stereoscopica e avevano bisogno di occhialini del tutto simili a quelli del cinema per essere visualizzate correttamente. Una volta indossati gli occhialini, la sensazione era effettivamente quella di essere immersi in un ambiente tridimensionale popolato da modelli molecolari. La differenza fondamentale con il cinema, oltre al fatto di essere letteralmente circondati dagli oggetti in questione, era che questi seguivano il nostro punto di vista mentre ci muovevamo, e ciò grazie a un piccolo rilevatore montato sugli occhiali che permetteva ai sensori della stanza di tracciare la nostra esatta posizione e aggiornare in tempo reale le immagini proiettate.
Insomma, una vera figata.

Alla fine la dimostrazione è stata più che positiva e ne siamo usciti tutti soddisfatti, ma lo stesso sono rimasto con qualche perplessità.

Innanzi tutto, nonostante capisca che il nome "Oculus Rift" sia in assoluto il più riconoscibile tra quelli del settore, non credo ci sarebbero stati problemi nel descrivere la cosa come semplice realtà virtuale, anzi. La falsa pubblicità, quali che siano i suoi scopi, non è mai qualcosa di cui andare fieri, senza contare che in fondo sono più felice di aver provato un'applicazione che probabilmente resterà confinata nei laboratori specializzati, piuttosto che un visore che prima o poi sarà possibile testare in ogni centro commerciale (e noi non vediamo l'ora).

In secondo luogo, ho trovato quanto mai fuorviante tutto il discorso iniziale sulla chimica, e non tanto per l'impari confronto con un qualsiasi spezzone di Superquark (ripeto, non possiamo essere tutti Piero Angela), quanto per il fatto che quella mezz'ora spesa a prendere caldo non ha minimamente contribuito a migliorare la successiva esperienza di laboratorio. Sarebbe stato diverso se, durante l'immersione nella realtà virtuale, qualcuno ci avesse detto cose del tipo "vedete, quello è il legame covalente cui abbiamo accennato prima, notate come interagisce con quest'altro gruppo e fa allineare il tutto ecc. ecc.", ma di fatto non facevamo che girare per la stanza in mezzo a pallini e spirali colorate.
Cosa ancor più importante, durante la fila per gli occhialini abbiamo incessantemente riempito il ricercatore di domande sul funzionamento della stanza che andavano dalla tracciatura dei sensori al semplice meccanismo della visione stereoscopica, che in molti conoscevano ma che altri avrebbero apprezzato scoprire onde afferrare veramente la natura di ciò che stavano per provare. L'ho capito quando uno dei miei amici ha domandato con tutta l'innocenza del mondo cosa sarebbe successo se avesse scattato una foto agli schermi col suo smartphone (è facile sorridere, più difficile ammettere che siamo tutti all'oscuro di qualcosa).

In ultimo, devo accennare al fatto che nella stanza le persone venivano fatte entrare in gruppi di quattro, ma solo una di queste aveva il rilevatore montato sugli occhialini, per cui tutto si muoveva seguendo solamente il suo punto di vista. Agli altri non restava che cercare di non allontanarsi troppo dalla persona col rilevatore per non subire una distorsione esagerata delle immagini, ma anche così l'illusione di muoversi in un ambiente virtuale veniva di fatto vanificata (ricordo sempre lo stesso amico che, seguendo il consiglio datoci dal ricercatore, a un certo punto si è abbassato sul pavimento per osservare l'immagine adattarsi al suo punto di vista, salvo constatare che non succedeva nulla poiché il rilevatore era posto sui miei occhialini).

A corti discorsi, un'esperienza sicuramente nata da una buona idea, ma gestita decisamente in modo approssimativo e farraginoso, che ha impedito di sfruttarne il pieno potenziale sia in termini di divulgazione che di effettivo divertimento (io e i miei amici siamo stati gli unici a scambiarsi gli occhialini per provare a turno quelli "buoni", perciò a parte noi solo una decina di avventori ha veramente provato la realtà virtuale, lasciando gli altri delusi o addirittura all'oscuro di ciò che sarebbe dovuto accadere).

Il problema degli eventi aperti al pubblico, a mio parere, è che andrebbero pensati e sviluppati esclusivamente dal punto di vista dell'utente finale, mettendosi nei panni dell'uomo qualunque per riuscire davvero a capirne le necessità e rendere così l'esperienza qualcosa di memorabile da raccontare la sera a casa seduti a tavola, dando una volta tanto un buon motivo per azzerare o almeno attenuare il rumore di fondo del televisore perennemente acceso.





1 commento:

  1. L'Onorevole la ringrazia per i vostri suggerimenti, Principe Alberto; lo Stato farà in modo d'ovviare a tali manchevolezze.

    Vostro umile servitore,
    l'Onorevole.

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